La vitamina D nativa e la sua relazione con COVID-19

Sandro Giannini

Clinica Medica 1, Dipartimento di Medicina, Università di Padova

DOI 10.30455/2611-2876-2021-5

Il primo caso di malattia severa da SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome-CoronaVirus-2), poi denominata COVID-19 (CoronaVirus Disease-19) è stato riportato nella città di Wuhan, Cina, nel gennaio 2020. Successivamente l’infezione virale e la malattia si sono diffuse rapidamente in molte aree geografiche del mondo e, nel marzo 2020, la malattia è stata riconosciuta come pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Alla data del 23 marzo 2021, nel mondo erano stati registrati poco meno di 125.000.000 di casi confermati dall’inizio della pandemia, con 2.727.837 decessi. Come noto, in Italia e in larga parte del pianeta, l’infezione e la malattia sono state caratterizzate da ondate subentranti, anche in relazione alle misure di contenimento dei contagi adottate da vari Paesi (Fig. 1). I pazienti affetti da COVID-19 tipicamente presentano sintomi e segni di severa malattia respiratoria infettiva, aumento dei leucociti e dei parametri dell’infiammazione e frequente linfocitopenia. Diviene solitamente evidente una polmonite interstiziale di gravità variabile. Una notevole parte dei soggetti con infezione da SARS-CoV-2 può, in realtà, rimanere asintomatica o sviluppare sintomi assai lievi. Al contrario, una parte non modesta di soggetti sviluppa una malattia così severa da necessitare di ospedalizzazione. Il 20% circa di questi soggetti dimostra condizioni respiratorie tali da richiedere il trasferimento in Unità di Terapia Intensiva (ICU). In questi soggetti, la mortalità può essere molto elevata, particolarmente in coloro che appartengono alle fasce di età più avanzate e presentano importanti comorbidità.

 

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