La vitamina D nelle malattie autoimmuni

Davide Gatti, Francesca Pistillo, Giulia Bonasera, Giulia Zanetti, Valeria Messina

UOC Reumatologia, Università di Verona

DOI 10.30455/2611-2876-2022-3

Che la vitamina D non possa essere considerata solo come una semplice vitamina correlata con il metabolismo osseo è ormai un dato assodato. 

Chiunque sa bene che l’esposizione alla luce solare migliora lo stato di benessere e la spiegazione non può ridursi solo alla produzione di endorfine da parte dei cheratinociti esposti alla radiazione UV. 

Le evidenze storiche sull’efficacia dell’elioterapia sono numerose a partire dal premio Nobel di cui, addirittura nel lontano 1903, Niels Ryberg Finsen è stato insignito proprio per aver dimostrato la straordinaria e rapida efficacia terapeutica sulle lesioni cutanee tubercolari (lupus vulgaris) dell’esposizione alla luce solare. La vitamina D va quindi ben oltre al solo metabolismo osseo e lo conferma anche l’osservazione che il recettore per la vitamina D (VDR) è sostanzialmente quasi ubiquitario nel nostro organismo ed è ben rappresentato in particolare soprattutto nei tessuti extrascheletrici. Inoltre, tale recettore è stato riscontrato anche nei lieviti e in animali del tutto privi di apparato scheletrico e dentario quali le lamprede. Tra le azioni extrascheletriche della vitamina D questa review si concentrerà su quella relativa alla modulazione della risposta immunitaria. Il VDR viene espresso da molte cellule del sistema immunitario (sia innato che adattativo), molte delle quali (in particolare macrofagi e cellule dendritiche) peraltro possiedono l’intero corredo enzimatico necessario per trasformare la vitamina D nella sua forma attiva che andrà così ad agire sulla stessa cellula (attività autocrina) o sulle cellule vicine (attività paracrina).

 

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