Vitamina D, rischio di infezione da SARS-CoV-2 e severità COVID-19: dubbi, possibilità ed evidenze

Giovanni Lombardi

Laboratorio di Biochimica Sperimentale e Biologia Molecolare, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano, Italia; Dipartimento di Atletica e Riabilitazione Motoria, Università di Scienze Motorie di Poznań, Poznań, Polonia; Coordinatore del Gruppo di Studio inter-societario SIBioC-SIOMMMS “Biochimica Clinica e Metabolismo del Tessuto Osseo e del Tessuto Muscolare”; Membro del Working Group IFCC Bone Markers”

DOI 10.30455/2611-2876-2022-6

Vitamina D è un regolatore chiave di sviluppo e maturazione di tutti i lineages immunitari. La supplementazione, in caso di carenza, ha mostrato effetti positivi verso le infezioni respiratorie acute, sebbene non riduca l’incidenza di eventi seri. 

Molti report, basati sulle osservazioni effettuate durante la prima ondata pandemica in Italia, hanno suggerito l’associazione tra carenza di vitamina D, rischio di infezione da SARS-CoV-2, incidenza e severità di COVID-19, mortalità. Osservazioni speculative, che mettevano in relazione la più alta prevalenza di ipovitaminosi D tra i paesi europei e l’altissima prevalenza di infezioni SARS-CoV-2 e COVID-19 in Italia, e soprattutto nelle regioni settentrionali, hanno definito l’associazione tra i due eventi senza verificarne il nesso di causalità e senza escluderne la casualità. Status vitaminico D, rischio di infezione e sviluppo di forme gravi della patologia sono fenomeni complessi dipendenti da innumerevoli variabili la cui complessa relazione di interdipendenza non può essere descritta dalla loro mera sommatoria. Pertanto, solo studi svolti in ampie coorti e non prescindenti da variabili fondamentali possono assumere una rilevanza epidemiologica.

 

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