Studio VITAL: luci e ombre

Giovanni Adami

Unità di Reumatologia, Università degli Studi di Verona

DOI 10.30455/2611-2876-2023-1

La vitamina D è un ormone liposolubile che ha un ruolo fondamentale nella regolazione dell’assorbimento intestinale di calcio. 

Il colecalciferolo è convertito dall’enzima epatico 25-idrossilasi in calcifediolo e successivamente, sotto il controllo del paratormone (PTH), dall’enzima renale 1-25-idrossilasi, nella forma biologicamente attiva, il calcitriolo.

Il calcitriolo regola direttamente l’assorbimento di calcio elementare dall’intestino ed è quindi fondamentale per garantire un adeguato substrato per la formazione dello scheletro. 

In condizioni di bassi livelli di vitamina D si riduce l’assorbimento intestinale di calcio e il calcio necessario per l’omeostasi sanguigna viene prelevato dallo scheletro sotto l’influsso del PTH. È noto quindi, dalla fisiologia, che la grave carenza di vitamina D porti allo sviluppo di osteomalacia (nell’adulto) e di rachitismo (nel bambino).

Le prime evidenze cliniche/storiche del ruolo fondamentale della vitamina D sullo sviluppo dell’osteomalacia e nel metabolismo scheletrico provengono da antichi reperti di scheletri di soggetti con deformità e multiple fratture ossee e da evidenze empiriche. 

È noto che le popolazioni che vivono al di sopra del 37° parallelo sono a più elevato rischio di sviluppare rachitismo/osteomalacia. 

L’essere umano è in grado di sintetizzare vitamina D3 tramite conversione fotochimica. Le radiazioni ultraviolette B portano alla conversione del 7-deidrocolesterolo in colecalciferolo nella cute. Tuttavia, nelle regioni nord o sud del pianeta le radiazioni di UVB della lunghezza d’onda necessaria per la sintesi della vitamina D non raggiungono la superficie. 

È stato inoltre riscontrato che i bambini rachitici esposti al sole miglioravano il quadro clinico, fino alla completa guarigione. 

La vitamina D può essere altresì assunta nella dieta (è presente in quantità discrete nel grasso animale). È stato dimostrato che nelle popolazioni scandinave il rischio era particolarmente elevato per i soggetti che risiedevano nell’entroterra e che pertanto avevano una dieta scarsa o addirittura priva di pesce, la fonte animale principale di vitamina D alimentare. Il fegato del merluzzo è estremamente ricco di vitamina D e ha protetto per secoli le popolazioni nordiche dallo sviluppo di osteomalacia/rachitismo. 

È quindi ampiamente assodato che la vitamina D sia un nutriente/ormone di fondamentale importanza per la salute scheletrica. 

Le evidenze si sono ulteriormente rafforzate negli anni più recenti. Sono stati pubblicati numerosi studi, soprattutto osservazionali ma anche interventistici, che confermano l’importanza della vitamina D e, in particolare, sottolineano l’effetto deleterio, marcato, della carenza/deficienza di vitamina D sull’osso. 

È interessante notare che gli studi osservazionali condotti su popolazioni a rischio di frattura siano sostanzialmente tutti concordi nell’evidenziare il ruolo negativo della carenza di vitamina D sull’aumento del rischio di frattura. 

Al contrario, c’è una discreta incertezza proveniente dai dati interventistici. Alcuni trial clinici, infatti, non sono riusciti a dimostrare un effetto positivo della vitamina D sulla riduzione del rischio di frattura. Tuttavia, vanno assolutamente sottolineati i limiti di tali studi che, sebbene siano stati condotti con estremo rigore scientifico e su ampie popolazioni, non possono e non devono influenzare negativamente le nostre scelte cliniche. 

In particolare, mi focalizzerò sui punti di debolezza del recente trial clinico randomizzato “VITamin D and OmegA-3 TriaL (VITAL)” di cui è stato pubblicato di recente lo studio ancillare sulle fratture da fragilità.

 

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