N.2 2018 - Collezioni e biblioteche nel XXI secolo

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Forze e tendenze nello sviluppo delle collezioni delle biblioteche accademiche del XXI secolo tra big deal, approval plan e DDA

Maria Cassella

Biblioteca “Norberto Bobbio”, Università degli studi di Torino; maria.cassella@gmail.com

Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 12 novembre 2018.

Abstract

L’articolo sviluppa il tema delle forze e delle tendenze che stanno riconfigurando lo sviluppo delle collezioni della biblioteca accademica. Partendo da una riflessione di Dempsey, Malpas e Lavoie si esamineranno nella prima parte dell’articolo i tre principali fattori che nel mondo digitale stanno esercitando un ruolo nello sviluppo delle collezioni: 1) i costi di transazione; 2) la proliferazione di dati e di decisioni data-driven; 3) i cambiamenti nei comportamenti di chi fa ricerca e nell’erogazione della didattica universitaria. La seconda parte dell’articolo intende esplorare le tendenze attuali dei modelli di sviluppo delle collezioni di una biblioteca accademica più innovativi e diffusi e cioè: il big deal, l’approval plan e il DDA.

English abstract

The digital revolution has transformed the way academic libraries select, purchase, preserve and curate collections. Inspired by a research paper of Dempsey, Malpas, and Lavoie, in the first part of the article the author discusses the tree main forces driving the collection development of the academic libraries in our century: 1) The transaction costs; 2) The data-driven environment; 3) The changing patterns in research and learning. In the second part of the paper the author draws on the new trends involving big deals, approval plans and DDAs. Big deals are at a tipping point due to the new global vision regarding the open science, the library budget contractions, and the increasing costs of the article processing charges. In some European countries (Germany, Sweden and France) big deals have been cancelled at national level. Approval plans have a long tradition in the Anglo-American environment. The author discusses the Italian context and the motivations (both cultural, legal and organizational) which to date have limited the wide adoption of approval plans in Italy. Last but not least, the author reflects on DDA and how the academic librarian can preserve his role in collection development by maintaining a holistic vision on the multiple, changing methodologies of selecting, purchasing, preserving and curating academic library collections.

Forze

In un contesto biblioteconomico nel quale servizi a valore aggiunto, comunità, pubblici e, infine, dati sono diventati un must, le collezioni, cartacee e digitali, conservano un ruolo centrale nello sviluppo e nelle strategie di una biblioteca accademica.

Il passaggio dal formato cartaceo al formato digitale ha messo in atto una rivoluzione copernicana rispetto ai processi attraverso i quali le biblioteche selezionano, acquistano, conservano (o non conservano!) le collezioni. I temi rilevanti che riguardano lo sviluppo delle collezioni di una biblioteca accademica del XXI secolo sono sempre più numerosi: le collezioni ibride, il rapporto tra cartaceo e digitale e tra possesso e accesso, la moltiplicazione dei business model, lo sviluppo della cooperazione multilivello attraverso:

  • i consorzi di acquisto;
  • lo sviluppo dei progetti cooperativi di selezione, digitalizzazione e conservazione delle raccolte, sia cartacee che digitali (United Kingdom research reserve, JSTOR, l’HathiTrust digital library ecc.);
  • la collaborazione nelle strategie di finanziamento dei progetti di open science (SCOAP3, Knowledge Unlatched ecc.).

In questo contesto multiforme, complesso e, soprattutto, in continua evoluzione le forze che influenzano le strategie di sviluppo delle collezioni di una biblioteca accademica sono molteplici.

I fattori interni dipendono in gran parte dal contesto, dalla mission, dalla disponibilità di budget e dal profilo delle raccolte.

Esistono, tuttavia, anche forze più dirompenti del tutto esterne al mondo bibliotecario, che coinvolgono le biblioteche in quanto nodi informativi della rete.

Dempsey, Malpas e Lavoie individuano tre fattori che influiscono nello sviluppo delle collezioni di una biblioteca accademica nel mondo digitale:

  1. i costi di transazione;
  2. la proliferazione di dati e di decisioni data-driven;
  3. i cambiamenti nei comportamenti di chi fa ricerca e nell’erogazione della didattica universitaria.

I costi di transazione

Lo specifico contenuto dei costi di transazione viene solitamente illustrato mediante una lista di attività che devono essere intraprese al fine di realizzare una transazione e che comportano costi per le parti contraenti: attività connesse alla comunicazione di informazioni tra le parti, al controllo e alla imposizione degli adempimenti negoziali prima e dopo la stipula del contratti, alle attività degli operatori della transazione (intermediari, legali, contabili), alle limitate capacità individuali di scelta razionale, alle tattiche di contrattazione.

Secondo l’economista Ronald Coase i costi di transazione governano il rapporto tra impresa e mercato. A fronte di costi di transazione interni molto elevati sarà più probabile ricorrere al mercato ed esternalizzare un servizio. Nel caso delle biblioteche, costi di transizione si determinano quasi sempre nella negoziazione e gestione delle collezioni: si pensi ai diversi business model adottati dagli editori per la vendita delle riviste e delle monografie elettroniche. I modelli just in time che propongono il pagamento di un corrispettivo per il solo accesso temporaneo alle risorse (generalmente per l’accesso annuale) sono semplici da gestire e tendenzialmente poco onerosi. Avranno, quindi, costi di transazione tendenzialmente bassi.

I contratti di big deal, di contro, sono molto onerosi nella fase di negoziazione. I costi di transazione si riducono, invece, considerevolmente durante il periodo di gestione del contratto, sia per le biblioteche che per gli editori. Questo spiega, in parte, la loro ampia diffusione.

Altro esempio è quello dell’approval plan e dell’e-approval plan ovvero del profilo di approval nel quale vengono fatti rientrare solo e-book (altrimenti detto anche e-only plan). Anche in questo caso i costi di transazione iniziali sono piuttosto alti (l’analisi delle collezioni, la definizione dei parametri formali e disciplinari, le stop-list da attivare), ma una volta definiti i profili delle aree che vengono sottoposte al meccanismo dell’approval, i costi di gestione diventano decisamente poco onerosi per le biblioteche: «approval plans have been considered an efficient and cost-effective way for libraries to acquire books in large quantities across many disciplines».

Per le biblioteche resta l’onere, non banale, di valutare l’efficacia dell’approval plan e di conseguenza di provvedere, in collaborazione con il fornitore che offre il servizio (per l’Italia: Ebsco tramite il servizio GOBI library solutions, ProQuest su piattaforma Oasis, Casalini libri, Leggere ecc.), a una revisione dei parametri di sviluppo delle aree sottoposte al meccanismo dell’approval.

L’approval plan, e il più recente e-approval plan, sono un esempio di esternalizzazione di un’attività tipicamente biblioteconomica. Approfondiremo successivamente questo tema controverso e molto discusso nella letteratura.

Terzo esempio: la rete ha reso sempre più bassi i costi di transazione della cooperazione: shared repository, shared service e shared collection diventano sempre più diffusi sia nell’ambiente digitale che in quello cartaceo. La novità nella cooperazione bibliotecaria è la rinnovata centralità della gestione cooperativa delle collezioni cartacee. Si pensi ai programmi di realizzazione e condivisione dei depositi cooperativi (shared off-site storage).

Quarto esempio: il marketing e la comunicazione della biblioteca. L’utilizzo della rete e dei social network ha considerevolmente abbassato i costi di transazione della comunicazione con gli utenti, migliorandola e rendendo più agevole ed efficace la promozione dei servizi e delle collezioni. In questo caso la semplificazione, da un lato, e il potenziamento, dall’altro, delle attività di marketing e di comunicazione hanno determinato in svariate realtà organizzative un riposizionamento del ruolo del bibliotecario accademico. Le attività di promozione e comunicazione restano un compito interno delle biblioteche.

La proliferazione di dati e di decisioni data-driven

Nel settore privato e in quello pubblico la mole macroscopica di dati prodotti nel web è utilizzata per orientare le scelte. L’era dei big data pone problemi di natura epistemologica (in che modo possiamo concepire i big data? Come si possono ottenere pattern di piccola scala che siano significativi? Come possiamo interpretarli?) ed etica (come vengono utilizzati i dati, da chi, a quali scopi: creazione di modelli informativi, creazione di ricchezza, salute e sicurezza ecc.).

Le problematiche connesse con i big data, per quanto complesse, non mettono, tuttavia, in discussione l’assunto che i dati siano un bene comune, una risorsa.

I dati (in crescita) dei quali le biblioteche dispongono sono sia qualitativi che quantitativi: i dati sulla circolazione (prestiti e prestiti interbibliotecari) dei volumi cartacei, i file di log e i download di una risorsa elettronica sono dati di tipo quantitativo che orientano nella selezione e valutazione degli acquisti. I dati sui download danno indicazioni relativamente all’utilizzo effettivo di una risorsa elettronica, consentono una programmazione nello sviluppo delle collezioni digitali e, di rimando, aiutano anche nella selezione di quelle cartacee. Sono, tuttavia, una metrica relativa e devono essere utilizzati in combinazione con altri elementi di valutazione (ad esempio: quanto è grande la comunità di riferimento di una risorsa? Quale è il costo per uso?). Infatti, come scrive Antonella Trombone in un suo recente articolo: «per una biblioteca specializzata è più adatta una valutazione che entri nel merito delle sue collezioni, cioè che valuti la qualità della raccolta rispetto alle esigenze degli utenti».

Dal 2011 OCLC mette a disposizione delle biblioteche un potente strumento per la gestione data-driven delle collezioni: Sustainable collection services è un set di strumenti e servizi concepiti per l’analisi delle collezioni. GreenGlass è l’applicativo web che consente alla singola biblioteca o a un gruppo di biblioteche di esplorare e visualizzare i dati sulle collezioni a supporto di tutte le attività di gestione e di scarto. SCS Monograph Index, invece, fornisce elementi utili per il monitoraggio, la valutazione e il benchmarking delle collezioni di 250 biblioteche accademiche, indirizzando le strategie di acquisto, conservazione e sviluppo delle raccolte.

Anche i dati qualitativi raccolti tramite i social offrono elementi di valutazione interessanti per il bibliotecario che programma gli acquisti. Ad esempio: i like e i commenti che può raccogliere un libro attraverso un post sulla pagina Facebook della biblioteca sono utili a capire le tendenze di lettura e gli interessi degli utenti. Per le biblioteche accademiche gli interessi degli utenti coincidono con la loro attività di ricerca; talvolta sono i temi sociali e di attualità che orientano le scelte. Questo trend è particolarmente evidente nelle biblioteche di area umanistica e di area scienze sociali.

I cambiamenti nei comportamenti di chi fa ricerca e nell’erogazione della didattica universitaria

La rete ha prodotto cambiamenti epocali nel modo di fare ricerca e di proporre la didattica universitaria. Le esigenze degli utenti hanno indirizzato sempre più negli ultimi venti anni sia la produzione editoriale scientifica che lo sviluppo delle raccolte della biblioteca accademica: la scelta del formato (cartaceo e/o digitale), l’accesso verso il possesso, il profilo locale e quello internazionale, l’Open Access e i modelli commerciali vengono influenzati in modo determinante dai bisogni delle comunità di ricerca.

Da un lato la logica del just in time che si afferma con il formato digitale ha consentito alle biblioteche di essere sempre più efficaci nel rispondere in modo immediato ai bisogni dell’utenza, dall’altro, con il taglio dei budget, le collezioni sono diventate, nel tempo, sempre più orientate alle esigenze contingenti di docenti e ricercatori a scapito di una crescita armonica ed equilibrata delle raccolte. Questo trend rischia di compromettere l’identità stessa della biblioteca accademica. Scrive, a proposito di questo tema, Maurizio Vivarelli: «è fondamentale per la biblioteca accademica riuscire a mantenere una visione olistica della propria identità e delle proprie funzioni, oltre a una indispensabile continuità nella gestione e sviluppo delle collezioni».

L’esempio più calzante di sviluppo delle collezioni user-driven (ma anche, in un certo senso, data-driven) è rappresentato dal modello di acquisto denominato patron-driven acquisition (PDA) o demand-driven acquistion (DDA), che, come è noto e come approfondiremo successivamente, è un modello interamente basato sugli interessi di ricerca dell’utente. La centralità dei bisogni degli utenti combinata ancora una volta con la tecnologia orienta e ridefinisce le collezioni della biblioteca accademica.

Il valore del contributo degli utenti nello sviluppo delle raccolte non può essere sottovalutato, ma la visione complessiva, la programmazione degli acquisti e la valutazione dei modelli restano saldamente nelle mani del bibliotecario.

Tendenze: big deal? No deal!

Concepito per i pacchetti di periodici e poi proposto come modello anche per le monografie (ad esempio, le collezioni tematiche di e-book di Springer Cambridge University Press, Oxford University Press ecc.) il big deal rappresenta, nonostante le critiche e le perplessità avanzate fin dall’inizio dalle biblioteche, il modello di acquisto più diffuso nello sviluppo delle collezioni delle biblioteche accademiche.

I dati relativi alla diffusione e alla spesa nazionale per i big deal sono scarsi. È l’effetto negativo delle clausole di non disclosure che vincolano le parti contraenti a non diffondere i termini economici dei contratti. Nel 2014 Bergstrom e altri realizzano uno studio per valutare il rapporto costo-beneficio dei contratti di big deal firmati da 12 consorzi di biblioteche nordamericane. Gli autori esaminano un totale di 360 contratti di big deal. I risultati mostrano un costo per i contratti sottoscritti con gli editori commerciali notevolmente più alto di quelli firmati con editori no-profit. I contratti sottoscritti con Elsevier sono economicamente i più onerosi (tre volte più onerosi degli altri contratti con editori commerciali. In ordine decrescente di costi dopo Elsevier si posizionano: Springer, Wiley, Taylor & Francis, Sage), ma sono quelli che hanno il migliore rapporto costo per citazioni. Il costo per citazioni dei contratti di big deal degli editori puramente commerciali è più alto del costo per citazioni degli editori no-profit (Oxford University Press, Cambridge University Press, American Chemical Society) ma solo per le università molto grandi e fortemente orientate alla ricerca (research-intensive).

Di recente l’European University Association (EUA) ha pubblicato i risultati di una ricerca sui contratti editoriali di periodici, banche dati ed e-book. La ricerca condotta tra 28 consorzi europei di biblioteche (nazionali e regionali) tra il 2016 e il 2017 ha messo in luce notevoli differenze organizzative tra i consorzi. Le università finanziano direttamente i costi dei contratti nel 50% dei casi, nel 26% dei casi i finanziamenti sono governativi. I rimanenti contratti sono finanziati da partnership tra enti governativi e università. Solo un contratto su dieci include una clausola relativa alle article processing charge (APC) ovvero il costo delle APC viene detratto dal costo complessivo del contratto anche se il 63% dei rispondenti afferma di volere utilizzare questa opportunità nelle future contrattazioni. La spesa annuale per 82 contratti è di euro 383.567.655. L’editore Elsevier ha una quota di mercato pari al 65%.

La formula del big deal resta immutata da venti anni: la scarsa flessibilità del modello rappresenta uno degli aspetti maggiormente criticati dalle biblioteche. Segnali di cambiamento avanzano, tuttavia, da qualche anno. Due sembrano essere le cause dirompenti:

  1. la nuova visione globale relativa all’Open Science, la discussione sul tema delle riviste ibride e sulle article processing charge;
  2. la contrazione dei budget e l’aumento del costo delle sottoscrizioni che supera di gran lunga quello dell’inflazione.

A livello europeo la Max Planck Gesellschaft ha lanciato nel 2015, in occasione della dodicesima conferenza annuale di Berlino, la vision, e il relativo programma, OA2020. L’idea è quella di garantire l’accesso aperto alla produzione di ricerca finanziata con fondi pubblici entro il 2020 con un coinvolgimento in prima persona degli enti che finanziano la ricerca pubblica e un passaggio graduale dal modello delle sottoscrizioni (paywall system) ai modelli open access di sostegno alle pubblicazioni.

A seguire, a settembre 2018 è stato lanciato in Europa il progetto COAlition S. Si tratta di un’iniziativa di Science Europe, l’associazione degli enti finanziatori della ricerca, in collaborazione con alcuni enti di ricerca europei (tra cui, per l’Italia, l’INFN) e con la Commissione europea.

Tra i dieci principi individuati dal piano di azione di COAlition S vi sono:

  • quello di una collaborazione a livello europeo tra le istituzioni e le biblioteche in merito alla 
    contrattazione e acquisizione trasparente di risorse informative;
  • la condanna dei costi inerenti il pagamento delle article processing charge nelle riviste ibride ovvero le riviste commerciali che, a pagamento, offrono la possibilità di pubblicare articoli ad accesso aperto.

La nuova visione globale relativa all’Open Science, la rigidità del big deal e i costi in costante ascesa delle riviste commerciali sommati a quelli relativi al pagamento delle APC, la mancanza di trasparenza nella contrattazione e acquisizione delle risorse hanno determinato l’uscita di Svezia, Germania e Francia da alcuni contratti di big deal, rispettivamente: Elsevier per i primi due e Springer per il consorzio francese Couperin.

È prematuro dire quali effetti potrà avere sul mercato della comunicazione scientifica questa recente tendenza alla cancellazione dei big deal. Alcune esperienze pregresse di cancellazione dimostrano come un primo effetto immediato sia quello del risparmio economico, un beneficio che tende però a diminuire con il passare degli anni.

In Italia le ipotesi di cancellazione di contratti di big deal sembrano ancora lontane: presuppongono l’analisi di una serie di dati (costo complessivo e annuale dei contratti, spesa per le APC nelle riviste ibride, numero di articoli pubblicati come risultato di ricerche finanziate, numero di articoli disponibili ad accesso aperto ecc.) che al momento non sono disponibili. Manca anche la necessaria sinergia tra chi svolge le contrattazioni a livello nazionale (il gruppo CARE della CRUI), le biblioteche accademiche, gli enti di ricerca e gli enti finanziatori della ricerca. Mancano, soprattutto, una visione e una strategia nazionali sull’Open Science, nonostante la CRUI abbia sottoscritto il programma OA2020.

Di positivo si registra una crescente consapevolezza tra le comunità di ricerca sui temi relativi alla scienza aperta, indotta, tuttavia, prevalentemente dall’ampio dibattito politico e sociale sugli open data.

Tendenze: l’approval plan, l’e-approval plan, l’approval plan collaborativo

L’approval plan è un metodo di sviluppo delle collezioni molto noto e discusso nella letteratura professionale internazionale. Ideato negli anni Sessanta grazie a una felice intuizione di un libraio statunitense (Richard Abel) e di un bibliotecario della Washington State University Library (Don Smith) e molto diffuso negli Stati Uniti prevalentemente, ma non esclusivamente, in ambito accademico. In Italia i pochi contributi pubblicati sul tema dell’approval plan sono per lo più relativi ad applicazioni pratiche in biblioteche di università. Il recente volume di Sara Dinotola ha messo bene in luce la disomogenea applicazione dell’approval plan in diversi contesti geografici (Stati Uniti, Germania, Italia).

Definire un approval plan efficace non è semplice. Richiede un’analisi e una conoscenza approfondita delle collezioni. Il bibliotecario che le cura ricopre un ruolo fondamentale. Richiede, inoltre, un rapporto fiduciario con il fornitore del servizio che «deve essere visto come parte di un sistema integrato che incide profondamente sulle attività della biblioteca a livello strategico e operativo». Il fornitore è un collaboratore esterno della biblioteca con il quale va instaurato un rapporto sinergico. Questa sinergia è il motivo principale per cui alcuni autori hanno giustamente discusso l’idea che l’approval fosse una metodologia esternalizzata di sviluppo delle collezioni mettendo in evidenza come l’approval, in realtà, esalti la figura professionale del bibliotecario che si occupa di sviluppo delle collezioni.

In Italia la metodologia dell’approval plan è relativamente poco diffusa. In primo luogo esiste un pregiudizio culturale da parte della comunità dei bibliotecari che temono di perdere un ruolo che, in realtà, viene rafforzato. Se ben impostato l’approval plan diventa un’occasione unica di riflessione sullo sviluppo delle collezioni di una biblioteca e un momento di crescita per il bibliotecario. È anche un metodo efficace di gestione e di controllo del budget che viene effettuato dal fornitore del servizio in collaborazione con la biblioteca.

In secondo luogo il tema delle norme vigenti in materia di acquisizione di beni e servizi per la Pubblica amministrazione. Innanzitutto la tendenza ad aggiudicare le gare al massimo ribasso e non, invece, all’offerta economicamente più vantaggiosa che consente di assegnare non meno di settanta punti su cento all’offerta tecnica privilegiando così la qualità del servizio offerto rispetto all’offerta economica.

Va detto per inciso che l’approval ha un costo per il fornitore; quindi, se inserito in un bando di gara, dovrà avere delle condizioni di fornitura diverse (minor sconto o nessun sconto). Per forniture miste (collezioni soggette all’approval e collezioni non soggette all’approval) potrà essere definito un lotto con un importo dedicato e condizioni di fornitura specifiche. Il Codice degli appalti offre un’ulteriore opportunità: se il budget dedicato all’approval plan della biblioteca è pari o inferiore ai 40.000 euro è sempre possibile procedere a un affidamento diretto con il fornitore che ha dimostrato maggiore competenza e affidabilità nell’erogazione del servizio. Attenzione va posta alle linee guida dell’ANAC che caldeggiano la rotazione tra fornitori per contratti sotto la soglia dei 40.000 euro ma non la impongono dato che il Codice degli appalti consente, invece, di procedere mediante affidamento diretto.

È noto che il successo dell’approval è legato a un rapporto duraturo e collaudato con il fornitore del servizio. Per questo motivo la possibilità di rotazione tra fornitori va ponderata accuratamente.

Nel caso di cifre che superino i 40.000 euro l’approval plan potrà essere inserito tra i requisiti di fornitura nel capitolato di gara o, in alternativa, essere considerato un parametro per l’attribuzione del punteggio tecnico. Fino alla soglia delle gare di rilevanza comunitaria (209.000 euro) è possibile procedere a una trattativa diretta con un numero ristretto di fornitori utilizzando il Mercato elettronico della Pubblica amministrazione (MePA).

Dagli Stati Uniti arrivano le ultime tendenze dell’approval plan: l’e-approval plan e l’approval plan collaborativo. Gli e-approval plan sono nati a integrazione degli approval sviluppati per collezioni cartacee. Tra i motivi: la crescita del mercato elettronico, ma, soprattutto, le scelte editoriali degli editori scientifici che rendono disponibili alcuni titoli esclusivamente in formato elettronico. Secondo dati forniti da GOBI Library Solutions vengono pubblicati in lingua inglese annualmente più di 70.000 nuovi titoli ma solo la metà è disponibile sul mercato in entrambi i formati.

Gli e-approval sono adatti a biblioteche che acquistano prevalentemente, se non unicamente, titoli elettronici. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le collezioni di una biblioteca accademica restano ibride. Per questo motivo «alle prime adozioni dell’approval plan esteso agli e-book sono seguite molte altre attivazioni di electronic approval plan, basati soprattutto sul concetto dell’e-preferred, a testimonianza di come ancora prevalga una situazione ibrida, in cui l’e-book non ha ancora assunto il monopolio rispetto al libro cartaceo».

Gli e-approval plan hanno anche altri limiti:

  • i modelli commerciali proposti dagli editori per gli e-book sono molteplici, tendenzialmente, tuttavia, per più accessi simultanei il costo dell’e-book è decisamente più elevato rispetto al costo dello stesso titolo in versione cartacea;
  • numerosi editori prevendono un periodo di embargo per la pubblicazione dell’e-book che segue la pubblicazione della copia cartacea.

All’approval plan e all’e-approval plan si affianca da alcuni anni l’approval plan cooperativo, modello complesso di sviluppo collaborativo delle collezioni tramite un programma di approval plan condiviso.

I vantaggi di questo tipo di approval plan sono indubbi: riduzione del numero di copie multiple, garanzia di bibliodiversità e di sostenibilità nello sviluppo delle raccolte e nella conservazione.

Gli approval plan collaborativi sono, tuttavia, estremamente complessi da predisporre. Sono prerequisiti quasi indispensabili alla loro buona riuscita:

  • un’analisi accurata delle collezioni delle biblioteche;
  • un’analisi dei volumi di spesa;
  • un programma di sviluppo condiviso delle diverse aree da coprire;
  • un orientamento forte alla cooperazione bibliotecaria (condivisione di cataloghi e servizi, con particolare riferimento al servizio di prestito interbibliotecario).

Sono i consorzi di biblioteche statunitensi a presentare studi di casi interessanti di approval plan condivisi. Infatti, un programma di sviluppo cooperativo delle raccolte può essere concepito e realizzato solo in contesti di cooperazione avanzata e consolidata.

Uno studio di caso interessante è quello di OHIOLink, un consorzio statunitense che coordina 88 università e biblioteche di università negli Stati Uniti. Nel 2011 il consorzio ha avviato un progetto sperimentale di approval plan collaborativo su piattaforma GOBI per 15 biblioteche del consorzio per i titoli pubblicati da case editrici universitarie. Le biblioteche avevano tutte un’esperienza pregressa di approval tramite GOBI Library Solutions. Il progetto aveva come obiettivo la riduzione dei costi e delle duplicazioni dei titoli tra le 15 biblioteche, con una crescita complessiva dei titoli disponibili pari al 10%. L’analisi del progetto mette in evidenza un risultato positivo come quello della crescita complessiva dei titoli con una variazione minima (inferiore al 5%) tra il budget previsto per singola biblioteca e quello effettivamente impegnato. Negativo (86%), invece, il risultato relativo alle duplicazioni dei titoli.

In Italia, superate le logiche competitive, i tempi sembrano maturi per cominciare a ragionare in termini di sviluppo cooperativo delle raccolte, almeno su base territoriale o disciplinare.

Tendenze: il DDA

Il DDA o PDA è il modello di acquisto più recente nello sviluppo delle collezioni digitali della biblioteca accademica. L’utente svolge un ruolo fondamentale nel DDA: a monte la biblioteca concorda con il fornitore del servizio il profilo, l’ampiezza della collezione e il budget da destinare al DDA, quindi i record bibliografici degli e-book vengono resi ricercabili gratuitamente nel catalogo in formato MARC: l’acquisto dell’e-book scatta solo e unicamente quando l’utente prova a scaricare il libro elettronico o visiona più di dieci pagine di un libro o lo legge per più di dieci minuti, secondo gli accordi presi con l’editore o aggregatore che offre il servizio. Cambia radicalmente la natura e la funzione del catalogo, ma questo discorso, sottile e complesso al tempo stesso, esula dalla nostra riflessione.

Il dibattito sul DDA si scatena negli Stati Uniti negli anni Duemila. Una serie di casi pratici viene discussa nella letteratura professionale statunitense. Il DDA esalta la logica delle collezioni just-in-time e il rapporto costo per uso: «PDA enables more just-in-time purchasing and there is evidence that books purchased through PDA circulate at high rates than non PDA titles».

In un’epoca di contrazione di bilanci e di decisioni user e data-driven il DDA massimizza l’efficacia della biblioteca accademica e il suo valore per gli utenti. Questi ultimi, infatti, vivono in una “infosfera” nella quale esistono sempre meno barriere e i processi di accesso all’informazione diventano sempre più fluidi: «in an electronic environment of self-serve, online purchasing and self-directed discovery in which researchers are able to easily find references to all kinds of material, it is responsive of libraries to allow library patrons to discover and select items through their library catalogues».

Anche rispetto al DDA non mancano le perplessità: la perdita di ruolo del bibliotecario che si occupa delle collezioni è ancora una volta il tema più ricorrente. Tuttavia, ci sembra importante sottolineare che:

  • il DDA non può essere l’unica metodologia di sviluppo delle collezioni in una biblioteca accademica ma si affianca alle diverse strategie sopra descritte. In particolare, da alcuni anni stanno emergendo anche casi di approval plan integrati con il DDA. In questo caso si parla di demand-driven preferred approval plan;
  • i docenti universitari hanno sempre rivendicato un ruolo, più o meno incisivo, nello sviluppo delle collezioni di una biblioteca accademica;
  • il bibliotecario conserva, in ogni caso, una visione complessiva e olistica dello sviluppo delle collezioni grazie alle indispensabili valutazioni in itinere ed ex-post (analisi della circolazione dei documenti, costo per uso, riduzione nelle duplicazioni dei titoli, percentuale di copertura delle core collection ecc.).

Negli ultimi anni il profilo della biblioteca accademica è cambiato. Alle attività tradizionali di tipo strettamente biblioteconomico si sono affiancate una miriade di nuove attività che ridisegnano il modello della biblioteca accademica: innanzitutto le attività di formazione (interna ed esterna), di supporto alla valutazione della ricerca e di Terza missione.

L’idea che fornitori e utenti partecipino allo sviluppo delle collezioni deve essere considerata un arricchimento per la biblioteca. Grazie a questi modelli di acquisto e al suo nuovo profilo socioculturale la biblioteca accademica sviluppa un rapporto duraturo con i propri stakeholder. E costruisce intorno a sé una comunità attiva e vibrante che collabora alla costruzione di un modello partecipato di biblioteca accademica.