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Dossier

La réception de l’expérimentalisme de Binet en Italie

La mesure de l’intelligence entre psychologie et pédagogie (1905-1922)
Giovanni Cerro

Résumés

L’objet de l’article est d’analyser la réception de l’échelle métrique de l’intelligence en Italie dans les premières deux décades du XX siècle. L’intéresse des principaux représentants de la psychologie et de la pédagogie expérimentale italienne vient du souci d’identifier des examens utiles pour établir les frontières entre normalité et pathologie et pour mesurer les degrés d’insuffisance mentale. Responsables de l’introduction de l’échelle de Binet-Simon furent notamment Giulio Cesare Ferrari et Sante De Sanctis, eux-mêmes auteurs des interrogatoires (« testi mentali » et « reattivi ») pour évaluer les fonctions mentales complexes. L’article a donc pour but de mettre en lumière soit les raisons du consensus, soit les principales critiques de méthodes et de contenus qui suivit l’application de cet instrument diagnostique.

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Texte intégral

Introduzione

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1Nel presente articolo si è scelto di analizzare la ricezione della scala metrica Binet-Simon nella comunità scientifica italiana in un arco cronologico circoscritto ma significativo : dal 1905, data dello svolgimento a Roma del quinto congresso1internazionale di psicologia e dell’ingresso di questa disciplina in ambito accademico con l’istituzione delle prime tre cattedre, fino al primo dopoguerra, periodo che segna la crisi definitiva del modello positivista a favore di un’impostazione neoidealista, che comporta una decisa attenuazione dell’attitudine allo sperimentalismo e all’internazionalizzazione che si era manifestata a cavallo tra XIX e XX secolo (Marhaba, 1992 ; Lombardo & Foschi, 1997 ; Cimino & Dazzi, 1998 ; Ceccarelli, 2010 ; Ceccarelli, 2013 ; Lombardo 2014). L’interesse per i test mentali in Italia è precoce e si situa alla confluenza di tre discipline, la psicologia sperimentale, la pedagogia e l’antropologia fisica. Le ricerche riguardanti la misurazione dell’intelligenza trovano un vasto campo di applicazione nello studio della nuova categoria medica dei frenastenici (arriérés, feebleminded), termine coniato dallo psichiatra Andrea Verga nel 1877 per indicare coloro che erano incapaci di elevarsi oltre lo stadio infantile, ossia imbecilli, cretini e idioti (Verga, 1877 ; cf. Babini, 1996). Il problema principale che figure di primo piano, come Giulio Cesare Ferrari e Sante De Sanctis, si pongono è dunque il seguente : è possibile utilizzare la scala metrica per la determinazione del confine tra normale e patologico e per la graduazione delle varie forme di frenastenia ?

I « testi mentali» di Giulio Cesare Ferrari

2Lo psicologo e psichiatra che maggiormente contribuì all’introduzione e alla diffusione in Italia della scala metrica di Binet-Simon è Giulio Cesare Ferrari (1867-1932). Non solo fu l’unico italiano a lavorare presso il laboratoire de psychologie physiologique de la Sorbonne, durante un soggiorno di studio dall’ottobre 1895 al marzo 1896, ma fu anche legato a Binet da una corrispondenza costante nel corso della sua vita. Dall’analisi di alcune lettere conservate nel Fondo Ferrari, emerge sia l’importanza dell’approccio sperimentale di Binet per la formazione del giovane Ferrari, sia un processo di graduale emancipazione che portò da un rapporto tra maestro e allievo a un confronto « più maturo» tra colleghi (Zocchi, 2012, p. 87). Ferrari si era recato a Parigi attirato dalla lettura de L’Année psychologique : nella sua autobiografia, definì la pubblicazione del primo numero della rivista « il grande avvenimento della mia vita» e dichiarò che la « magnifica prefazione del Binet» aveva messo ordine nel « caos di nozioni disparate e confuse» che regnavano nella sua mente (Ferrari, 1984, p. 248). Ferrari era interessato ad approfondire quello che riteneva un modo diverso di intendere la psicologia rispetto alle correnti allora in voga in Italia, dall’impostazione filosofica di Roberto Ardigò a quella fisiologica e riduzionista di Giuseppe Sergi. Reduce dal soggiorno parigino, Ferrari ebbe dal direttore Augusto Tamburini la possibilità di riorganizzare e ampliare il laboratorio di psicologia dell’Istituto psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, rendendolo « una figliazione diretta del più moderno e del più pratico fra i laboratori esistenti», quello di Binet appunto, e iniziando ad applicare il « maggior numero possibile dei mental tests, che siano veramente utili allo studio della psicologia individuale» (Ferrari, 1968, pp. 63-64 e p. 72 ; cf. Nicolas, 2011). Grazie alle nuove strumentazioni introdotte, il laboratorio si impose come un centro di ricerca all’avanguardia in Italia, in grado di competere anche con il laboratorio di psicologia sperimentale inaugurato nel 1889 da Sergi presso l’Istituto di antropologia dell’Università di Roma. Oltre a Binet, la formazione di Ferrari fu influenzata dalla traduzione delle opere di William James – i Principii di psicologia, Gli ideali della vita e in collaborazione con il filosofo Mario Calderoni Le varie forme della coscienza religiosa (James, 1901 ; James, 1903 ; James, 1904) –, autore che ebbe il merito di far conoscere al pubblico degli studiosi italiani. Docente prima presso l’Università di Modena e poi di Bologna, Ferrari fondò nel febbraio 1905 la Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia, primo periodico in Italia interamente dedicato alla psicologia e dal 1910 organo della Società italiana di psicologia. Vi trovarono spazio numerosi contributi relativi alle attività dell’Istituto medico-pedagogico di Bertalia, quartiere di Bologna, di cui Ferrari era direttore dal 1903 e dove rimase per quattro anni. Sempre sul fronte dell’infanzia anormale, nel 1901 Ferrari aveva stabilito a Imola una colonia libera per deficienti gravi e giovani criminali, nella convinzione che la reclusione non fosse la strada migliore per condurre alla riabilitazione dei minori in condizioni svantaggiate. Negli anni successivi, continuò il suo lavoro nel campo pedagogico-riabilitativo e in quello psichiatrico. Fu direttore del manicomio provinciale di Imola (1907-1924), quindi dell’ospedale psichiatrico Roncati di Bologna, incarico che mantenne fino alla morte.
Proprio a Ferrari si deve il primo articolo apparso in Italia sui test mentali che faceva esplicito riferimento agli esperimenti condotti da Binet nel laboratorio alla Sorbona. Scritto insieme allo psichiatra Giuseppe Guicciardi, il saggio fu pubblicato nel 1896 sulla
Rivista sperimentale di freniatria. Gli autori proponevano cinque « testi mentali» somministrati nel laboratorio dell’Istituto San Lazzaro, volti all’indagine non solo di capacità di risposta circoscritte, ma anche di funzioni mentali complesse. Si trattava, nell’ordine, dei fenomeni motori, di quelli vasomotori e degli stati emotivi, del campo percettivo e dell’attenzione, del ragionamento e dell’emozione estetica e, infine, della memoria organica. Riferendosi al lavoro di James McKeen Cattell (1890) e all’« interessante articolo» di Binet e Victor Henri (1896), Ferrari e Guicciardi definivano i test mentali come « esperienze uniformi di prove dirette a rilevare le differenze psichiche individuali» (Ferrari & Guicciardi, 1896, p. 299). Da un lato, dunque, si sottolineava l’oggettività e la scientificità del protocollo ; dall’altro, la capacità di cogliere quella individualità o personalità primitiva che, anche nei casi più gravi di alienazione mentale, non era « quasi mai del tutto obliterata» (p. 300). Tale convinzione che la malattia, pur essendo una deviazione più o meno profonda del carattere, non lo disgregasse del tutto, ma ne conservasse i tratti fondamentali, era un caposaldo dell’impostazione di Ferrari (Ferrari, 1900, p. 791). L’introduzione dei test psicologici in psichiatria presentava, a detta di Ferrari e Guicciardi, alcuni indubbi vantaggi. Anzitutto, i test si adattavano a persone di cultura scarsa o nulla e risultavano « abbastanza simpatici» anche ai malati di mente ; in secondo luogo, erano replicabili e multidimensionali, ossia fornivano informazioni su più tratti della personalità ; infine, punto più importante di tutti, non facevano capire al soggetto l’obiettivo dell’esame, mettendo al riparo dal rischio di simulazione o suggestione. Se ne ricavava una « fotografia morale», cioè una chiara fisionomia psichica, utile per completare la diagnosi degli alienati, dei delinquenti e degli anormali in genere (Ferrari & Guicciardi, 1896, p. 314 ; cfr. anche Ferrari, 1968, p. 72).
Una nuova versione dei
« testi mentali» fu proposta da Ferrari nel suo intervento al decimo Congresso della Società psichiatrica italiana, che si tenne a Napoli nel 1899 (Ferrari, 1900). Vi era contenuta una rivendicazione dell’utilità dei test psicologici nella pratica psichiatrica e una difesa della loro scientificità, in quanto basati su « indizi precisi e misure esatte» e sul principio dell’identità dello stimolo o reattivo (p. 790). L’uso degli interrogatori doveva integrare l’analisi soggettiva dei pazienti, già praticata negli istituti manicomiali, permettendo di registrare le differenze individuali di una o più attività mentali complesse. Si trattava quindi di un metodo di indagine e al tempo stesso di ricerca. Ferrari proponeva un protocollo diviso in due parti : 1) un esame clinico dell’alienato di breve durata (16-18 minuti), che poteva essere condotto anche senza l’aiuto di strumenti, poiché consisteva in un elenco di domande e comandi ; 2) un esame sperimentale da effettuare in cliniche o laboratori di psicologia forniti di strumentazione di precisione, volta a monitorare la « suggestibilità» sensoria e motoria, l’inibizione cerebrale, il campo delle percezioni, delle sensazioni e dell’attenzione, le immagini mentali, la memoria, le emozioni, l’ideazione, i movimenti e i sentimenti morali.
Alcuni anni dopo, in un articolo dedicato alla questione della misurazione dell’intelligenza nei bambini normali, Ferrari continuava a elogiare l’importanza dei risultati raggiunti da uno psicologo
« della competenza e della scrupolosità» di Binet, oltre che la semplicità delle prove previste nella scala metrica nella sua versione del 1905, che definiva « la maggiore conquista positiva che nel campo della mente psicologica sia stata fatta finora» (Ferrari, 1908). Tuttavia, rilevava la necessità di modificare la scala prima di applicarla a bambini di altre nazionalità o di classi sociali differenti rispetto a quella operaia di una metropoli come Parigi. L’approccio di Ferrari, nel complesso, era pragmatico : la scala metrica dell’intelligenza forniva indicazioni utili anche per la stesura dei programmi scolastici, stabilendo ciò che era adatto per ogni fascia di età. Un ulteriore impiego consisteva nella misurazione dell’intelligenza degli adulti, in particolare in relazione all’orientamento professionale (Ferrari, 1919).
Ferrari era interessato a un esame il più possibile completo della personalità umana, che permettesse di apprezzare le correlazioni costanti che esistevano tra le disposizioni psichiche e quelle fisiche. In questa direzione andava il nuovo schema di interrogatorio che propose nel 1912 insieme all’insegnante e pedagogista Gabriella Francia (Ferrari & Francia, 1912). Costituito da 37 domande e 6 comandi da porre in un intervallo di circa 15-20 minuti e distribuiti in 8 aree (orientamento personale, coscienza personale, memoria, stato affettivo, ragionamento e giudizio, vita onirica, sentimenti morali e attività conativa), l’interrogatorio era stato applicato nella colonia di deficienti di Imola, ma poteva essere esteso anche ai fanciulli normali. Il risultato maggiormente degno di nota era l’individuazione di un’affinità di sviluppo tra le tre aree della condizione antropologica, degli organi di senso e dell’abilità motoria. Risultavano, invece, qualità statiche e
« quasi immodificabili» la memoria, il ragionamento e il senso morale (p. 287). La riformulazione del test confermava, dunque, l’attenzione di Ferrari al rispetto dell’individualità del malato, che ne fece uno dei più attivi sostenitori del no-restraint in Italia e delle forme di assistenza extra-manicomiale.

Il metodo dei reattivi di Sante De Sanctis

3Nel panorama italiano, la seconda figura legata a un’approfondita e più che decennale riflessione sull’impiego della scala metrica di Binet-Simon per la valutazione delle capacità dei fanciulli anormali è lo psichiatra e psicologo Sante De Sanctis (1862-1935). In qualità di vicesegretario scientifico, De Sanctis fu tra gli organizzatori del quinto congresso internazionale di psicologia, tenutosi a Roma dal 26 al 30 aprile 1905, nonché curatore degli atti. Come è noto, fu in quella sede che venne esposta per la prima volta la scala metrica dell’intelligenza di Binet-Simon nel corso della terza sezione del congresso, dedicata alla psicologica patologica e presieduta da Enrico Morselli (Binet & Simon, 1906 ; cf. Rozencwajg, 2011). Poiché i due psicologi francesi erano assenti, la loro comunicazione fu letta dal collega Beaunis. In una lettera privata, Binet aveva chiesto proprio a De Sanctis di leggerla, se gli impegni di vicesegretario glielo avessero permesso (Fondo Sante De Sanctis, Sapienza Università di Roma, Archivio di Storia della psicologia, serie 1, fasc. 16.2, 21 aprile 1905).
Dopo la laurea in medicina e chirurgia all’Università di Roma, la carriera scientifica di De Sanctis iniziò con la collaborazione nel 1891 con il laboratorio romano di anatomia patologica di Giuseppe Mingazzini e l’anno successivo con la nomina come aiuto presso la clinica psichiatrica dell’Università di Roma diretta da Ezio Sciamanna, ruolo che mantenne fino al 1899. La sua formazione ebbe un respiro europeo
 : nel 1893 soggiornò a Zurigo, studiando sotto la direzione di Auguste Forel i fenomeni psichici e l’ipnotismo, e si fermò a Parigi, dove alla Salpêtrière ebbe l’opportunità di approfondire il versante psichiatrico. In questa prima fase, la produzione di De Sanctis fu contrassegnata da contributi legati alla psichiatria e alla psicopatologia, che riguardavano il sistema nervoso, l’attenzione, il sonno e l’attività onirica, tema quest’ultimo sul quale intrattenne una corrispondenza con Freud. La ricerca clinica di De Sanctis risentì dell’influenza sia delle teorie criminologiche della scuola lombrosiana sia della psicologia fisiologica di Sergi. Sul finire del secolo, promosse un’intensa attività pedagogica e assistenziale : nel 1898 fondò l’Associazione romana per la cura medico-pedagogica dei fanciulli anormali e l’anno dopo, sempre nella capitale del Regno, istituì il primo asilo-scuola per fanciulli anormali e deficienti di povera condizione. Ebbe così modo di elaborare sul campo le proprie teorie sulla neuropsichiatria infantile, ambito nel quale fu un pioniere in Italia insieme a Maria Montessori e Giuseppe Montesano. Nel 1905 ottenne presso l’Università di Roma una delle prime tre prime cattedre di psicologia in Italia, istituite dal ministro della Pubblica Istruzione Leonardo Bianchi. Nel 1907 organizzò presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Roma un laboratorio di psicologia sperimentale e avviò la pubblicazione della rivista L’Infanzia anormale. Tre anni dopo, fu nominato professore ordinario di psicologia sperimentale e presidente della Società italiana di psicologia. Concluse la sua lunga carriera ricoprendo dal 1930 la carica di direttore della clinica di malattie nervose e mentali di Roma, dove fondò il primo reparto italiano di neuropsichiatria infantile.
All’inizio del Novecento, De Sanctis iniziò a usare negli asili-scuola uno schema d’interrogatorio il cui scopo era determinare il livello di insufficienza mentale degli alunni in modo preciso e comparabile (De Sanctis & Bolaffi, 1914). Secondo De Sanctis, i
« testi mentali» di Ferrari non erano idonei per due motivi : in primo luogo, erano troppo minuziosi e quindi inapplicabili nella pratica manicomiale, in cui i pazienti erano numerosi ; in secondo luogo, non si adattavano all’età e al grado di cultura degli esaminandi. Bisognava avere invece a disposizione più serie di domande o « reattivi» che fossero adeguate ai soggetti e disposte secondo un ordine di difficoltà progressiva. Tale metodo dei reattivi fu presentato per la prima volta proprio al congresso di Roma del 1905 (De Sanctis, 1906). I « reattivi» rispondevano all’esigenza di distinguere due aspetti dell’insufficienza mentale che, a detta di De Sanctis, spesso venivano confusi : a) l’aspetto qualitativo o « tipo» di insufficienza mentale, che in base alle caratteristiche e all’origine della malattia permetteva di classificare il paziente come mentalità idiotica, imbecille, eboidofrenica, epilettoide e infantile ; b) l’aspetto quantitativo o « grado» di insufficienza mentale, che poteva essere lieve, medio o alto e veniva misurato tramite un test composto da sei esercizi. In un’esposizione successiva, i gradi di insufficienza mentale divennero quattro : lieve, intermedio, medio e alto (De Sanctis, 1914). I « reattivi» potevano essere applicati ai frenastenici di età compresa tra i 7 e i 14 anni « purché tranquilli», inclusi gli analfabeti e i pazienti con ritardo o anomalie nello sviluppo del linguaggio (De Sanctis, 1906, p. 586). Erano pensati, infatti, in modo da non implicare la lettura e la scrittura e, nelle prove più semplici, non prevedevano nemmeno l’uso del linguaggio. Al soggetto si richiedevano compiti di riconoscimento e di classificazione da realizzarsi attraverso l’impiego di materiali froebeliani come biglie di vetro lucide di differenti colori, pezzi di legno a forma di cubo, cono e parallelepipedo, e una tabella di cartone dove erano disegnati quadrati, rettangoli e triangoli. Il valore del test era esclusivamente pratico : si trattava di un mezzo di rapida e facile applicazione utile per orientarsi sulle capacità intellettuali degli alunni. L’esperienza negli asili-scuola aveva dimostrato che la ripetizione del test non influiva sul risultato finale. La memoria, dunque, non incideva sul grado di insufficienza ; soltanto l’età e l’innalzamento del livello di educazione potevano portare a risultati più brillanti : « si sa che i deficienti progrediscono anch’essi, quantunque molto lentamente» (De Sanctis & Bolaffi, 1914, p. 162).
I
« reattivi» si affiancavano a un altro importante strumento anamnestico e diagnostico, la « carta biografica», ideata nel 1885 da Sergi per gli alunni delle scuole elementari (Sergi, 1885). Organizzata in due tabelle, una per le osservazioni fisiologiche, l’altra psicologiche, la carta andava compilata all’ingresso e all’uscita dell’alunno dalla scuola ed era considerata uno strumento non solo didattico, ma anche e soprattutto d’indagine scientifica, utile per dirigere l’educazione e far fronte a eventuali degenerazioni psicofisiche. Nel 1899, Sergi mise a punto con De Sanctis un particolare modello di carta biografica per gli alunni dell’asilo-scuola, una sorta di fascicolo personale dello studente che conteneva dati antropologici, psicologici e fisiologici, accompagnati da una ricostruzione degli antecedenti ereditari e personali e da alcune fotografie (De Sanctis, 1899). La maggior parte dei dati psicologici erano ricavati da un interrogatorio del soggetto. In una versione riportata da De Sanctis nel suo saggio sull’Educazione dei deficienti, si può notare che molte delle domande coincidevano con quelle contenute nell’esame psicologico sommario dei deficienti proposto da Ferrari e Francia (De Sanctis, 1915, p. 227).
L’intento di De Sanctis nell’elaborazione dei reattivi era diagnostico e pedagogico, vale a dire individuare eventuali carenze per giungere all’elaborazione di interventi mirati che permettessero di colmare, almeno in parte, le lacune riscontrate. De Sanctis dichiarava di preferire il termine
« valutazione» a quello di « misura» e sosteneva che i test costituivano solo una parte di un esame clinico-psicologico completo (1915, p. 96). Lo stesso metodo di Binet e Simon era « raccomandabile e serio», ma meritava di essere « corretto, adattato o integrato» per poter dare scientificamente fondati (p. 103). Questi erano, secondo De Sanctis, i principali aspetti critici della scala metrica : 1) non teneva conto del fatto che alcuni canoni spesso variavano da regione a regione, da paese a paese ; 2) conteneva alcune richieste di « mera istruzione» : si rischiava così di classificare come deboli di mente anche i « falsi-anormali», che erano semplicemente indietro dal punto di vista didattico (p. 179) ; 3) non permetteva di valutare alcune « qualità speciali» dell’intelligenza che si manifestavano spontaneamente, come aveva notato lo psicologo tedesco William Louis Stern, ovvero quello che De Sanctis chiamava il « tipo» di insufficienza mentale (p. 106, corsivo originale) ; 4) non forniva risultati attendibili nel caso dei dementi e dei deficienti gravi (idioti e imbecilli), in cui si dimostrava più utile l’applicazione dell’interrogatorio di Ferrari nella versione del 1900. L’ultima obiezione era la più grave, poiché di fatto negava che ci si potesse servire di un medesimo strumento per stabilire l’età mentale nei fanciulli normali e nei frenastenici più gravi. In maniera analoga a Ferrari, anche De Sanctis sottolineava che idiozia ed imbecillità erano « forme cliniche, non stati psichici semplici che si possono diagnosticare coi reattivi mentali» (p. 182, corsivo originale). L’inadeguatezza della scala metrica era confermata per De Sanctis da due tipi di difficoltà che si riscontravano dal punto di vista pratico. In primo luogo, nei deficienti di alto grado si aveva una forte disseminazione scalare dei risultati, come del resto aveva notato anche Binet. In secondo luogo, la definizione del ritardo come rapporto tra età fisica ed età mentale non era indicativa : un ritardo mentale di 2 anni era molto più grave in un fanciullo di 7 anni che non in un fanciullo di 12 anni. Più cresceva l’età del soggetto, più diminuiva l’importanza del ritardo.
Per De Sanctis, dunque, la scala metrica e i suoi reattivi muovevano da esigenze differenti. Mentre lo strumento di Binet e Simon fissava l’età mentale e il suo rapporto con l’età cronologica, i reattivi non avevano alcuno scopo di classificazione e nella valutazione complessiva integravano il giudizio dello psichiatra con quello del maestro. Ciò non gli impedì di utilizzare la scala – nella versione del 1911 da lui stesso tradotta in italiano (
pp. 109-119) – per la determinazione dell’insufficienza mentale nei frenastenici di grado lieve presso il laboratorio di psicologia sperimentale di Roma e negli asili-scuola.

La scala metrica di Binet-Simon sulla Rivista di psicologia (1914-1922)

4Una importante conferma dell’interesse per l’applicazione della scala metrica di Binet-Simon è offerta da una serie di articoli di alcuni psichiatri e psicologi italiani apparsi tra il 1914 e il 1922 sulla Rivista di psicologia diretta da Ferrari. Mario Ponzo (1882-1960), psicologo che collaborò per circa trent’anni a Torino con Federico Kiesow prima di ottenere nel 1931 la cattedra di psicologia sperimentale a Roma che era stata di De Sanctis, riconosceva che lo strumento era « frutto di un lungo lavoro preparatorio» (1914, p. 136). La maggior parte dell’analisi di Ponzo si concentrava sulla figura dello sperimentatore, a cui era richiesto : 1) di essere abituato alle ricerche psicologiche e aver svolto un lungo periodo di esercizio ; 2) di dare importanza all’« osservazione accurata dei processi mentali che si svolgono nell’esaminato» (movimenti fluidi o meccanici, coordinazione, comprensione del compito lenta o rapida, etc.) e di valutare positivamente la sua capacità di correggersi dietro sollecitazione (p. 149) ; 3) di adattare alcune richieste al contesto, tenendo presente le difficoltà linguistiche : in alcune zone della penisola, la lingua abituale era il dialetto. Non mancava in Ponzo un’obiezione ormai classica, presente anche in Ferrari e De Sanctis : la scala metrica non teneva in debito conto l’influenza dell’ambiente, inteso sia come frequenza scolastica sia come condizioni socioeconomiche della famiglia, sull’esito dell’esame. Su questo aspetto si concentrarono le critiche dello psicologo Francesco Umberto Saffiotti (1882-1927), che aveva approfondito la relazione tra lo sviluppo intellettivo e i fattori biologici e sociali nella scuola (1913). Non solo l’agiatezza economica conduceva a un rendimento intellettuale complessivo più elevato da parte degli studenti, ma anche le scuole centrali avevano risultati più brillanti rispetto a quelle periferiche. Saffiotti, che dal 1909 al 1912 era stato assistente del laboratorio di psicologia pura e applicata di Milano diretto da Zaccaria Treves, aveva avviato la sperimentazione della scala metrica, nella sua versione del 1908, in alcune scuole elementari di Milano (Treves & Saffiotti, 1910 ; 1911). L’ampio progetto, che doveva includere circa 2.500 protocolli, fu però bruscamente interrotto a causa della scomparsa di Treves. L’atteggiamento di Saffiotti nei confronti della scala metrica era ambivalente : da un lato, ne elogiava la semplicità ; dall’altro, lamentava la scarsa corrispondenza tra alcune prove e l’età e suggeriva diverse modifiche relative alla tecnica di somministrazione e ai criteri di valutazione (Saffiotti, 1916). Le critiche di Saffiotti investivano sia il piano metodologico e applicativo, sia quello teorico, sottolineando che l’intelligenza, oltre alle funzioni cognitive, comprendeva anche le componenti affettive e volitive.
Nei primi due decenni del Novecento iniziarono quindi a diffondersi in Italia sperimentazioni dei test mentali condotte nelle scuole speciali per fanciulli anormali. Sulla
Rivista di psicologia furono riportate due esperienze che mettevano a confronto la scala metrica di Binet e Simon sia con il metodo dei reattivi di De Sanctis (Graziani, 1918) sia con l’esame psicologico sommario di Ferrari e Francia (Vidoni, 1922). Nel primo caso, lo psicologo Aldo Graziani aveva somministrato la scala metrica e i reattivi a 70 soggetti ricoverati nell’Istituto medico-pedagogico veneto della città di Thiene, in provincia di Vicenza, da lui diretto. Graziani si associava all’opinione di De Sanctis nel rilevare che la scala metrica aveva « valore assai scarso» per la misurazione del livello intellettivo dei deficienti di alto grado (Graziani, 1918, p. 89). Anche in questo caso, le critiche principali era due : la forte disseminazione scalare dei risultati e la definizione di ritardo come rapporto tra età fisica ed età mentale. Per Graziani, il pregiudizio che il livello intellettuale di un deficiente fosse paragonabile a quello di un bambino di pochi anni era in disaccordo con le più recenti acquisizioni dell’anatomia patologica, della clinica e della psicologia : i gradini ammessi nello sviluppo dell’intelligenza normale non corrispondevano affatto ad identici ed egualmente distribuiti gradini nello sviluppo del deficiente. La scala metrica poteva servire al massimo per individuare i deviati dalla media. Alcune richieste avevano « valore notevole come prove di frontiera» per distinguere tra normale e debole, altre tra debole e imbecille. La scala non serviva, invece, per la determinazione dell’età mentale dei frenastenici gravi. In definitiva, come aveva sostenuto anche De Sanctis, bisognava differenziare i test per i fanciulli normali da quelli per gli anormali.
Nel secondo caso citato, lo psichiatra Giuseppe Vidoni, allora direttore del laboratorio di antropologia criminale di Genova, sottopose 50 alunni della scuola autonoma per deficienti della città ligure alla scala metrica e all’interrogatorio Ferrari-Francia. Vidoni si mostrava ancora più cauto di Graziani
 : sulla base della sua esperienza, non era possibile individuare delle « prove di frontiera» per distinguere la normalità dall’anormalità e la debolezza dall’imbecillità (p. 75). Nei frenastenici si verificavano, infatti, due fenomeni : da un lato, la disseminazione scalare dei risultati e l’influenza dell’ambiente ; dall’altro, l’impossibilità di stabilire un’età mentale certa, dal momento che l’arresto di sviluppo non sempre era definitivo e i risultati delle prove potevano subire cambiamenti, anche rilevanti. Il concetto di età mentale in riferimento alle forme più gravi di nevrastenia doveva essere assunto « con molta prudenza» (p. 76). Di conseguenza, il metodo di Binet poteva servire per una prima opera di cernita, ma per un quadro più sicuro della personalità bisognava affidarsi all’osservazione clinica.

Conclusione

5Le sperimentazioni condotte in Italia con la scala metrica dell’intelligenza di Binet-Simon nei primi due decenni del Novecento individuavano punti di forza e rilievi critici nel complesso abbastanza uniformi. In primo luogo, nell’applicazione ai fanciulli normali, psichiatri e psicologi italiani concordavano nel ritenere lo strumento relativamente veloce e di facile applicazione ; tale aspetto, tuttavia, non doveva indurre a sottovalutare la necessità di un’adeguata preparazione da parte dell’esaminatore. In secondo luogo, si riteneva che alcune prove fossero legate all’istruzione più che all’intelligenza, quindi che risentissero dell’influenza dell’ambiente scolastico e familiare. Infine, si sottolineava la necessità adeguare lo strumento al contesto : nelle prove di riconoscimento e denominazione degli oggetti, i tempi di reazione potevano aumentare in presenza di difficoltà linguistiche (come nel caso di uno studente che si esprimeva nel dialetto locale). Per quanto riguardava la cosiddetta infanzia e adolescenza anormale, l’opinione maggiormente condivisa, influenzata dalle osservazioni di Ferrari e de Sanctis, sembrava essere che la scala metrica non era adatta a misurare l’età mentale nei frenastenici, soprattutto i più gravi (idioti e imbecilli).

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Bibliographie

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Pour citer cet article

Référence électronique

Giovanni Cerro, « La réception de l’expérimentalisme de Binet en Italie  »Recherches & éducations [En ligne], HS | 2019, mis en ligne le , consulté le 29 mars 2024. URL : http://journals.openedition.org/rechercheseducations/6204 ; DOI : https://doi.org/10.4000/rechercheseducations.6204

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Auteur

Giovanni Cerro

Fondazione Collegio San Carlo, Modena

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